La Testimonianza di Maria Grazia
Faccio volontariato da quando l’Hospice ha mosso i suoi primi passi.
Sono referente e mi occupo dei turni e collaboro al coordinamento dei volontari in Hospice. La mia esperienza personale mi ha portata a voler essere utile al prossimo.
Credo che non ci siano formule per diventare dei bravi volontari. Quello che impariamo è frutto solo delle esperienze sul campo e dei momenti importanti e significativi vissuti nella nostra vita.
Esperienze una diversa dall’altra, con sensazioni e vissuti differenti, dalle quali ho imparato a conoscere e condividere il Silenzio, il Dolore, la Sofferenza. A capire che chi è scontroso, chi ci lascia fuori dalla porta, agisce in tale maniera perché sta male. A comprendere, quindi, che non bisogna giudicare così superficialmente chi ha comportamenti sbagliati, perché, alla fine, è la persona che risulta più fragile.
Operando, ho imparato ad ascoltare, prima di farmi ascoltare. Ciò, spesso, mi ha permesso di entrare nell’io di chi ascolti. Entrare nell’io non significa essere invadente, ma riuscire a percepire quali sono le paure, le angosce, i bisogni, anche quelli più nascosti, di un individuo.
Spesso mi sono trovata a non saper cosa dire, cosa fare. Così il gesto di un abbraccio o una carezza sul viso, sono divenuti più importanti di mille parole.
Un corso di formazione in cure palliative, svoltosi qualche tempo fa, è stato intitolato “Corso per Persone normali per Compiti Speciali”. Compito non facile. Il nostro volontariato non è come tutti gli altri. Per me non è stato sempre facile, come non lo è tuttora. Per proseguire questo cammino bisogna guardare con gli occhi del cuore. Quando ti accorgi che la tua presenza diventa importante non solo per l’ammalato, ma anche per la famiglia, ti fai forza e vai avanti, perché quello che l’ammalato ci chiede non è il miracolo, non ci chiede di essere consolato, ma di stargli vicino, di essere trattato come una persona “Viva” sino alla fine.
Credo che per poter prestare al meglio la nostra opera assistenziale, bisogna accostarsi alle situazioni con una notevole dose di umiltà e un enorme attenzione. Sono fermamente convinta che, per continuare questa Missione, bisogna sposare la cultura del Dono e non del possesso, del Dare e non dell’avere.
“L’opera umana più bella è quella di essere utile al prossimo”. Questa è la mia ricompensa.
Maria Grazia Reale
Volontaria Hospice
La Testimonianza di Anna Lisa
Quello che mi preme facendo la mia esperienza personale e’ di dissipare dubbi e timori che sicuramente tutti avete, come li abbiamo avuti noi e come li continuiamo ad avere,premettendo che l’esperienza e’ personale,e ovviamente si vive in maniera soggettiva., ma sapere che tutti attraverseremo tali momenti ci fa andare avanti, non ci fa sentire soli.
Sono gia’ due anni che sono volontaria in hospice, tante cose sono cambiate, io sono cambiata.
Mi domandavo che cosa ha fatto di me una volontaria, non so se una buona volontaria: sono le mie paure, i miei dubbi insieme con le mie motivazioni, la malattia di mia madre e poi la sua morte per cancro nel 2006, spesso e’ un lutto la spinta iniziale, l’interesse che ho sempre avuto per il mondo dei malati, perche’ anche io in qualche modo ne faccio parte. Poi le motivazioni iniziali cambiano,dimentichi che cosa ti ha portato la’, cominci a farti assorbire da questo mondo di sofferenza, il malato, i parenti, e capisci che non sono solo quelle due ore che passi accanto ad un malato, ma fai parte di un progetto piu’ grande che e’quello di diffondere questa nuova mentalita’di cura totale del malato, di dignita’ della persona fino alla fine, e senti il bisogno di dare il massimo perche’ questo avvenga.
Ho conosciuto questo mondo del volontariato che prima snobbavo, ho deciso che valeva la pena buttarsi, essere parte di questo mondo. Alcuni mesi prima , per motivi personali e di salute, mi sono dimessa dal lavoro, ho fatto questa scelta coraggiosa perche’, dopo la morte di mia madre, sono cambiate le mie priorita’ sono diventata padrona del mio tempo, e ho potuto investirne una parte cosi’.All’inizio, non avendo fatto neanche il corso, ero molto titubante, avevo paura, timore di entrare in questo tempio sacro che e’ la stanza del malato, paura di un rifiuto, paura di incontrare rabbia,, paura dei silenzi,paura di non dire o fare la cosa giusta, spesso mi sentivo quasi paralizzata. Forse questo e’ stato un bene, la prudenza, la discrezione, l’entrare in punta di piedi , spesso ho pensato “non so cosa dire”, non vedo l’ora di uscire da qui”,”sono stanca di vedere morte, mi sento inutile”.Ma ho combattuto, le motivazioni erano forti, piu’ andavo avanti e piu’ mi sentivo motivata. Credo che anche le mie paure abbiano contribuito a fare di me una volontaria, la paura di non sentirsi all’altezza, di sbagliare, che non e’ solo orgoglio, ma anche un po’ di umilta’ che ti spinge a seguire chi lo era gia’ prima di te, ti spinge a osservare, a chiedere se fai bene, a leggere libri per migliorare la tua formazione(ma voi non esagerate, come stavo facendo io).
Che cosa ho imparato in questi 2 anni: che le mie paure le avro’ sempre, e ci devo convivere,. che devo convivere spesso con i rifiuti e la scontrosita’del malato,con la consapevolezza e l’ umilta’ che il mio ruolo ha i suoi limiti, che non importa se oggi non sono stata utile, perche l’importante e’ che faccio parte di questo grande progetto che e’ ridare dignita’ al malato,valore alla vita e alla morte stessa.Ho imparato e comprendere di piu’ il malato e le sue esigenze, ho imparato che e’ importante ascoltarlo, farlo sentire unico in quel momento,non esprimere giudizi, ho imparato ad accarezzare,tenere la mano, cosa che non mi veniva proprio naturale. Ho imparato che non sono chiamata a dare consigli, o pacche sulla spalla, e a scadere nelle banalita’ che si dicono per consolare(anche se questo gia’ lo sapevo perche’ l’ho imparato sulla mia pelle). Ho imparato ad accettare i silenzi, anche se ogni tanto non sempre mi riesce, ho provato l’ascolto empatico, di cui avevo sentito parlare, ma che fino a che non lo si sperimenta non lo si capisce, ascoltare e far risuonare in te quello che il malato dice, in modo da far reagire quella parte profonda di te, che si interroga,si confronta. Ho imparato a convivere con le domande che mi faccio sulla mia vita e la mia morte, sul senso della vita e della sofferenza, ho imparato che la fede in Gesu’ Cristo e’ alla base di tutto, e che se questa non mi sorreggesse, tutto questo sarebbe un pesante fardello da sopportare.
Grazie.
Anna Lisa
La Testimonianza di Mariella
Sono Mariella , volontaria in Hospice da circa tre anni nonché referente per la raccolta fondi ed eventi culturali:dopo aver conosciuto il volto della sofferenza e poi purtroppo quello della morte con la perdita di una cara amica e di mio padre , avvertivo il desiderio di fare qualcosa per gli altri. Sentivo nel mio intimo delle motivazioni,quali migliorare il mio essere ,la mia emotività affettiva, le mie paure che mi hanno spinto ad agire in favore del mio prossimo bisognoso. Dunque la scelta di fare volontariato!Volontariato dal latino volutas – volontà parola legata al voler essere – voler agire .
Essere d’aiuto per qualcuno, voler agire a sostegno per qualcuno, voler agire a sostegno di qualcuno.
Quindi il volontario è l’anello che congiunge chi sta bene con chi sta male! Il primo valore , nonché principale del volontariato che lo distingue e lo rende originale è la gratuità. Questa è l’asse portante del volontario è la sua carte d’identità, il secondo valore è l’attenzione alla dignità della persona che sta vivendo una realtà così dolorosa. Avere rispetto della sua cultura ,razza,lingua, religione,stato sociale,pensiero politico. Lo spirito di solidarietà che è una decisione ,quella di farsi carico ,sempre nei limiti del possibile di quella sofferenza dedicando tempo ed amore. Per il volontariato credente il malato è l’immagine di Gesù,è la presenza misteriosa di cristo. Quando ti trovi a tu per tu con la persona malata di tumore e sai che anche da lì a poco potrà morire ,l’emozione spesso prende il sopravvento, la forza che c’è in te deve venire fuori, il coraggio, un tenero sorriso, una delicata carezza. Bisogna guardarla negli occhi,capire pian piano quello che in quel momento vorrebbe sentirsi dire o magari ascoltare solo il nostro silenzio. Bisogna entrare in empatia con il paziente.
Il nostro comunque aiuto non è tanto di alleviare il dolore fisico ma sinceramente di alleviare quello pschico spirituale e sociale.
Dobbiamo instaurare un contatto affettivo con l’interiorità della persona sofferente e nello stesso tempo però stabilire un rapporto equilibrato altrimenti diventiamo una persona in più della famiglia di cui il malato dovrà distaccarsi al momento della morte. Stare a contatto con questi malati ha cambiato molto la mia vita migliorandola ed insegnandomi molto,ho imparato a dare valore alle piccole cose ad apprezzare i momenti sereni e viverli in pienezza,ho imparato a non giudicare ma a comprendere, quando capisco di aver trasmesso a qualcuno un po’ della mia forza e serenità, provo una grande gioia e questo mi fa vivere meglio.
Questa è una una strada … è la presenza di Cristo in me!
Mariella